Dell'inutilità della guerra

E' da quando ho raggiunto l'età della ragione che mi chiedo se la guerra possa avere una qualche utilità, dal momento che viene ancora considerata un mezzo al quale ricorrere, talvolta con entusiasmo.
Me lo chiedo ogni volta che ne sento parlare, ogni volta che ne incrocio un'immagine. E' dallo scorso lunedì che ci ripenso, inseguita dalle immagini di To shoot an elephant, e ogni volta che mi torna alla mente mi ripeto incredula: questa non è una storia, non è un film. Alberto Arce era lì, filmava in diretta. Anche i reporter di guerra lo fanno, ma molte volte al loro lavoro è concesso uno spazio così esiguo da non arrivare nemmeno alla nostra coscienza.

Possono avere un'utilità i morti ammazzati? Possono avere un'utilità i luoghi distrutti?
Il tentativo di annientare un popolo può servire ad altro che ad alimentare la sua disperazione?

"Ci rimane solo Dio ad aiutarci", affermava una donna.
E da quel Dio ho sentito chiedere la maledizione sul nemico. Come se un Dio potesse uccidere un figlio per salvare l'altro.
"Di quanti morti avete bisogno?" La domanda di un uomo di Gaza agli operatori internazionali mi ha richiamato alla mente l'inizio del Salmo 8: "Fino a quando, Signore?"
La domanda dell'uomo di Gaza però è posta all'interlocutore giusto, a quello che deve una risposta, cioè al resto dell'umanità: di quanti morti abbiamo bisogno per capire che non serve aggiungere morti insensate alla morte di per sé insensata che raggiungerà tutti?
Quanto denaro dovremo buttare nelle armi e nelle opere di ricostruzione prima di accorgerci che sarebbe stato meglio usarlo per costruire, non solo edifici, ma relazioni?

Resto senza risposta, ma so che non sono queste le domande che vorrei pormi.

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